Eccomi con il primo dei post di confronto Italia-USA. Oggi vorrei parlare di una cosa che l’America fa meglio. “Meglio” con le dovute riserve, perchè è mio intento dimostrare, nell’arco di questo blog, che “meglio” pure ha i suoi lati negativi. Ma per ora fermiamoci qui. Concentriamoci sul meglio.
Sono arrivata in Florida, in un torrido quanto umido luglio. Io ed il mio allora fidanzato ci siamo immediatamente “spiaggiati” in piscina a casa della mamma di lui, che nel frattempo era volata in Michigan, come fa tutti gli anni, in cerca di frescura.
La mattina dopo, giá all’alba – intendo verso le 4:00 ora locale -, il jet lag mi aveva costretta fuori dal letto, e quindi, dopo un breve esame delle mie opzioni (bere finchè non mi riaddormento; cercare una pillolina magica nel caos di quattro valigie da immigrata; eccetera) mi ero avventurata all’esplorazione del vicinato. Passeggiata mattiniera, perchè no? A pensarci adesso mi viene da ridere: come potevo non saperlo? La passeggiata è una delle cose che in America non esistono. Ma torneró su questo più avanti, in un altro post. Mentre mi aggiravo con nonchalance nel golf court ecco una voce squillante rivolta a me che esclama:
– Hi! Are you doing?
L’omino addetto alla manutenzione del campo, sveglio e arzillo, che mi saluta cordialmente. Rispondo con altrettanta cortesia, pensando che mi abbia confusa con qualcun altro, e procedo. Situazione analoga si ripete per il salutista che fa jogging e la signora con 3 cani pincher. Non ero troppo sorpresa. Non era la mia prima volta in Florida, dopotutto. E devo pure aver pensato: “Che carini. A Roma a volte non ti salutano manco in ascensore”.
Rientrata a casa, trovo Rick in piedi, non meno devastato di me, che cerca nel frigorifero e forse per un momento è anche lui turbato nel non trovarvi il latte della centrale e lo yogurt Yomo. Decidiamo di andare al supermercato, operazione che, scopro oggi e sará per sempre, richiede invariabilmente l’uso dell’automobile. Non esiste la bottega di quartiere in America. Almeno non in Florida. Non esiste tabaccaio, non esiste bar con il profumo di arabica, non esiste panificio. Niente. Si prende la macchina e si va da qualche parte. Semper atque aeternaliter.
Supermercati in America
Publix. La catena di supermercati in America più diffusa nel Sunshine State. Entro, ed il mio corpo subisce un’escursione termica da shock. Resto paralizzata. Da +40 a -18 in un nanosecondo. Guardo Rick con gli occhi sbarrati e la pelle d’oca e gli dico:
– Ma siete pazzi? C’è freddo qui!
Lui mi fa spallucce, pensa per un attimo e poi sorridendo mi risponde:
– Agli americani piace. Di solito si possono riconoscere gli italiani al supermercato qui perchè portano sempre una sciarpa.
Una sciarpa? Un cappotto bisogna portarsi! Di pelle d’orso! Giuro. E ancora non mi ero avvicinata al banco frigo. Un impiegato mi passa accanto, indaffarato e sorridente:
– Hi! How are you today?
– Uh. Hi, I’m doing….
Se n’era andato. Boh. Forse non mi capiva. O forse non gli interessava la mia risposta.
Il posto è enorme (tutto è più grande in America…), ed io mi perdo a contemplare le infinite possibilitá nella fila dei cereali. Un chilometro di fila di cereali. E mentre sono lí che ammiro scaffali a perdita d’occhio, quasi una Gretel nella casetta di marzapane, lí che esamino percentuali di fibra, zucchero (e quanto zucchero!) e vitamine aggiunte, ecco un’altra voce dal tono esageratamente amichevole, esageratamente felice, esageratamente esagerato:
– ‘dmorning ma’am! Can I help you finding anything? Anything missing?
– Uh. No, thanks. I’m just… browsing.
L’omino sembra dispiaciuto. Per un attimo mi prende il senso di colpa. Penso di averlo fatto sentire inutile. Ma la mia considerazione va all’eccezionalitá del fatto: davvero un impiegato del supermercato mi ha rivolto per primo la parola vedendomi un po’ smarrita davanti a uno scaffale? Non so a voi, ma a me in Italia in 35 anni non è mai capitato. Quando proprio non trovavo qualcosa, prima di rivolgermi al commesso, mi preparavo mentalmente allo sguardo da: “non è compito mio/ sto facendo altro/ mi stai disturbando/ e poi sei pure cretina che non hai trovato la tal cosa da sola, perchè è logico che sia dov’è”.
“Forse ho incontrato un impiegato particolarmente gentile” penso, e passo oltre. Ma la scena si ripete tale e quale davanti allo yogurt. Oh, ma puó una povera donna studiarsi le etichette in pace senza che nessuno le metta fretta? Sono le 7,30 del mattino, perbacco! Apparentemente, no. Time is money, dopotutto.
Ritrovo Rick al banco salumi, dove l’addetto lo sta intrattenendo con le offerte del giorno. Le passa in rassegna a una velocitá superiore a quanto il mio cervello ottenebrato da 24 ore di viaggio e 4 di sonno mi consenta, ma non importa: perchè per ogni stranezza menzionata, ci porge un assaggio. Un generoso assaggio. Insomma, diciamocelo: ci rincoglionisce, da bravo venditore, e ci liquida con circa mezzo chilo di affettati in pochi minuti.
Inizio a capire…. Marketing. Customer service =vendite. Non è una grande scoperta, lo so. E’ solo qualcosa a cui non sono abituata. Sembra nuova, anche se nuova non è.
Stesso trattamento alla cassa, dove appena svuotato il cestino, nemmeno ho il tempo di voltare il capo alla ricerca di una pila di altri cestini dove vorrei riporre il mio, che un altro impiegato arriva come un falco e mi dice: “I’ll take that for you, ma’am”. Devo dirlo: ho pensato che bastasse avere un desiderio, un minimo bisogno, che subito, alakazam!, qualcuno arrivava ad esaudirlo. Ci accompagnano anche alla macchina portando i sacchetti, e non accettano mance perchè non è consentito: è un servizio, spiegano, è incluso.
Sulla via di casa chiedo a Rick se si era accorto della differenza. Mi dice che ci fa caso perchè glielo faccio notare io, altrimenti per lui la sola cosa che salta agli occhi è l’ordinata disposizione degli ortaggi. Vero. Le verdure sono bellissime, pulitissime, ordinatissime. Un meccanismo aziona una pioggerella ogni “x” minuti cosí che l’acqua simuli gocce di rugiada su peperoni, broccoli e carote. Ma datemi retta, la nostra verdura è più buona, e quando scriveró il post sul cibo vi stupiró tutti (e vi invidieró a morte).
La mia prima considerazione è la seguente: si, come ho accennato il servizio è migliore. E lo è perchè il cliente soddisfatto è il cliente che ritorna. Elementare. Il numero di impiegati in ciascuno di questi supermarket è impressionante. Alle casse non si fanno mai più di pochi minuti di fila, c’è uno che ti sistema la roba nelle buste (e no, non è un immigrato che spera nei pochi spiccioli di mancia) e uno che ti rimette a posto il carrello (non serve il “riscatto” di un euro per prendere un carrello; un addetto se ne occuperá in ogni caso), e cosí via. L’osservatore casuale e/o superficiale, di certo é tentato di fare i soliti vecchi commenti: “Ah! In Italia invece le verdure sono alla rinfusa, alle casse si aspetta per ore e soprattutto gli impiegati sono maleducati”. Invece io non credo sia cosí. Chi ha lavorato al pubblico in Italia, lo sa. Costantemente a corto di organico, ogni lavoratore è veramente carico di compiti e responsabilitá che spesso non gli competono, e in genere è seriamente sottopagato. Non il primo giorno, non il secondo, ma prima o poi, si è saturi.
Il rovescio della medaglia qui, è costituito da una spinta consumistica inverosimile. La pressione all’acquisto per me è insopportabile. I supermercati in America… uffa. Cosí ovvia, cosí invadente, cosí volgare, anche.
Ma per capire meglio, leggete il mio prossimo esempio, dove parlo delle machine.
ciao Jessica,
mi sono imbattuto nel tuo blog casualmente e devo dire che mi piace molto, in quanto mi fa rivivere le stesse sensazioni che ho avuto io quando siamo andati a vivere in USA.
Te le riassumo in breve:
i primi due mesi tutto era bellissimo e meglio dell’Italia perchè sembrava funzionasse alla perfezione.
entro i primi sei mesi questa sensazione si affievoliva mentre realizzavo che i cibi non hanno sapore, a primavera l’aria non profuma e il consumismo (che tu hai descritto benissimo) è spudorato.
dopo un anno iniziavano ad apparire chiari alcuni lati oscuri che andrebbero rivisti come sanità (tema da te trattato eloquentemente), sistema scolastico e i diritti umani solo apparenti visto che non esiste privacy e viene ancora contemplata la pena di morte.
dopo due anni, d’impulso sono tornato in Italia che forse ha molti più difetti degli USA, e forse in questo momento non è il posto migliore per vivere e crescere un figlio.
se vuoi, altri confronti fra i due paesi li puoi trovare sul mio blog che tratta argomenti quali l’alimentazione e le produzioni sostenibili.
http://noisiamociochemangiamo.blogspot.it/
a presto, saluti
Davide
Ciao Davide, grazie per il tuo interesse. Mi piace molto il tuo blog, l’argomento cibo sostenibilita’ mi interessa parecchio (altro punto da investigare, qui negli States dove si produce in massa).
Mi fa piacere leggere di qualcuno che si ritrova in cio’ che scrivo. Avendo visto cio’ che ho visto io, saprai di cosa parlo. Pensa che il post sulla sanita’ e’ stato uno dei piu’ criticati (su Facebook): l’opinione prevalente e’ ancora che sia giusto cosi’… A presto!