Tutto è più grande in America…

by Jessica // in Storia

7 comments

Una volta alla Sapienza seguii un corso molto interessante di letteratura ispanoamericana. Il primo giorno di lezione, quando il professore annunció che avremmo parlato della Scoperta, dovetti tentare, con una certa fatica, di non perdere il mio entusiasmo, visto che giá mi figuravo la solita storia che tutti abbiamo studiato almeno tre volte nella vita (una per ogni livello della scuola dell’obbligo): Colombo, le sue caravelle ed il suo felice errore di calcolo. Fortunatamente per me, il corso prevedeva molto più di questo. Detti l’esame al primo appello, presi il mio bravo 30 cum laude e misi via il libro, che andó nel mucchio di quelli da non vendere.

Cristoforo Colombo nel biglietto da 5000 lire. Alzi la mano chi se lo ricorda!
Cristoforo Colombo nel biglietto da 5000 lire. Alzi la mano chi se lo ricorda!

Tempo dopo, fra le varie cose, una mi sarebbe tornata in mente con insistenza: quella che il nostro connazionale genovese chiamava la “maraviglia”. Meravigliato era, il caro Cristoforo, di ritrovarsi ai Caraibi in lussureggianti panorami tropicali, fra indios mezzi nudi e animali coloratissimi mai visti prima. Tuttavia il nostro eroe, nelle sue lettere esagerava. Uh! Se esagerava! I reali di Spagna gli avevano finanziato un viaggetto piuttosto costoso, e lui non poteva cavarsela riportando ortaggi e pappagalli. Esagera qui ed esagera lí, e gli amici ad esagerare con lui (sapete come vanno queste cose: quattro chiacchiere e una birra…), il passo verso il mito di Eldorado, la cittá interamente construita in oro, fu breve. Ed è a questa esagerazione che ho spesso ripensato e a cui spesso ripenso adesso che vivo qui. Ci penso, e la siciliana che è in me borbotta: “… Minchiate!”.

Eldorado, la cittá tutta d'oro.
Eldorado, tutta d’oro.

Lasciatemi approfondire il concetto, prometto di non annoiarvi. E soprattutto, è necessario per spiegare di cosa si parlerá in questo blog.

Durante i miei ultimi anni romani, quando giá ero fidanzata con quello che è adesso mio marito, andai a visitare il Museo dell’Immigrazione. Rick, un americano con antenati del Bel Paese, era alla ricerca di notizie sul suo bisnonno emigrato in America, un giovane italiano che come tanti aveva lasciato il suo sperduto paesello con una lira in tasca (una!) ed attraversato l’oceano sola andata. Al museo erano esposte foto di gremite navi – che a fatica si potrebbero oggi identificare come transatlantici – , valigie di cartone, biglietti di terza classe, liste di nomi e infine, cartoline. Cartoline dall’America. Quelle che i fortunati (?) emigranti mandavano in Italia alle famiglie che spesso non avrebbero rivisto più. Cartoline come questa:

5692795400_9f36e96059_b
Una patata piuttosto grandicella.

Eh si, nei primi del ‘900 il mito di Eldorado era cambiato, ma non crollato. E al proposito di oro, inserisco un breve e spassoso aneddoto di quegli anni, che qualcuno ha tramandato nella famiglia di mio marito. Pare che durante una telefonata intercontinentale natalizia, uno dei nonni rimasti al paesello avesse chiesto:

 

– Vince’, ma vero è che a ‘Merica le strade sono asfaltate con l’oro?

Al che il fortunato emigrante avrebbe risposto:

– Minchiate sono! Non sono asfaltate d’oro. Non sono asfaltate per niente. Infatti le stiamo asfaltando noi!

Ed ecco, dopo questa lunga introduzione semiseria e pseudostorica, arrivo al mio punto: ancora oggi noi italiani (non entro nel merito degli altri paesi) subiamo gli effetti di questa mezza bugia che dura, a fasi alterne, da oltre 500 anni. Molti di noi sanno giá che il paese perfetto non esiste. Io personalmente sono arrivata da molto tempo alla conclusione che tutto stia alle nostre individualissime prioritá: quando si sceglie di vivere in questo o quel paese bisogna essere consapevoli del fatto che si guadagna qualcosa e si perde qualcosa. Sempre. Stabilisca il singolo cosa per lui valga la pena guadagnare e cosa perdere. Tuttavia in Italia è ancora molto diffusa questa mentalitá dell’ “invidia” del paese straniero. Senza approdare in America, a noi basta guardare un po’ a nord per essere invidiosi: “Eh, questo in Olanda/in Norvegia/in Francia non succede e non succedrebbe mai…”. “Eh, certo che come guidano in Svizzera…”. “Eh, certo che la metropolitana a Londra…”. L’America poi è il non plus ultra. La terra dei sogni, la terra della libertá, la terra delle opportunitá. Ora, senza negare che in ognuna di queste affermazioni ci sia un fondo di veritá (mi metteró mica a discutere sulla guida in Svizzera, nel 2003 presi due multe in 45 minuti), fatemi dire una cosa, e fatemela dire urlando, che dopo 8 mesi in un paese in cui nessuno alza la voce e nessuno gesticola ne ho proprio bisogno: l’America ha i suoi ca**o di problemi! Ed anche gravi!

Sono in una fase di scarsa tolleranza, devo premetterlo per dovere di cronaca, perchè questo sentimento con ogni probabilitá si rifletterá per un po’ nei miei prossimi post. Ma capite il mio punto di vista: giá in Italia, per lavoro frequentavo un certo numero di stranieri, molti dei quali americani, alcuni nordeuropei. Tutti erano in qualche modo innamorati del nostro paese: la pizza, il gelato, le donne e le campagne toscane; ma nessuno ci andava piano quando si trattava di criticare. I criminali al volante, la fila al supermercato, la burocrazia, etc. Sappiamo che queste accuse sono in gran parte veritiere. Ed io in genere, mi ritrovavo a guardare il mio interlocutore facendomi piccola piccola, a volte a scusarmi e a dire genericamente che “si puó sempre migliorare”. Ma oggi penso: come hanno osato e come osano tutti costoro? Il sistema qui non è perfetto. Nè lo è in Olanda o in Inghilterra – sono stata in tutti questi posti. Non lo è affatto. C’è un diverso set di problemi. Ma “diverso” non significa “migliore” o “peggiore”. E’ una caratteristica. A ciascuno le proprie. Noi per esempio impariamo da bambini come duellare con l’impiegato delle poste, e qui  da piccoli imparano che il sistema sanitario ti lascia morire per la strada. Come dicevo, a ognuno le proprie prioritá e le proprie abitudini. Punto.

Tenendo questo a mente, voglio anche specificare che per me l’America è stata una scelta, di cui ancora oggi non mi pento e dubito mi pentiró in futuro. Sono venuta qui con la mia lista di prioritá piuttosto chiara, almeno per quanto me lo abbiano consentito i miei 35 anni sul groppone, metá dei quali passati a vagabondare in luoghi diversi.

Nei miei post parleró delle cose belle che ho trovato qui, e di quelle brutte. E di quelle nè belle nè brutte, ma solo diverse. Dove possibile, vorrei dare consigli pratici: documenti per l’immigrazione, regole sociali, piccoli accorgimenti per inserirsi ed adattarsi – processo ancora in corso anche per me. Ma per tutto il tempo, vorrei mantenere in chiaro questo: che dell’Italia non dobbiamo vergognarci e lamentarci. Anche se a volte vorremmo, anche se c’è il Berlusca e anche se produrre un documento in Comune puó trasformarsi in un incubo. Queste cose si possono e si devono cambiare. Ecco, forse questo possiamo imparare dagli americani, il “yes, we can”. Ognuno puó fare la differenza. Puó. Vorrei dirvi che è bello sognare l’America, ma che è saggio avere aspettative realistiche. “Perchè prima o dopo il sogno c’è la vita da vivere”, cantava Ligabue. Sapere che le cose non sono più come ai tempi delle navi della speranza ad Ellis Island; che Colombo è un antieroe perchè qui la gente lo ritiene – esclusivamente – il responsabile dell’eccidio degli indios; che gli italiani sono per lo più associati a stereotipi di cui noi non abbiamo neanche mai sentito parlare. Eccetera, eccetera.

La gente mi chiede se mi manca il mio paese. Io divago sempre dicendo che mi manca il cibo, ed è vero. Si, i pomodori qui sono più grandi. Ma fanno schifo. Farei due ore di fila alla posta per un’amatriciana di Menenio Agrippa. Forse tre. Ma niente. Per stasera mi tocca mettere insieme qualcosa con le patate del Maine. Non offro, amici. Non ne vale la pena.

  • quanta verità esce da questo post!
    se, invece di gurdare all’erba del vicino, curassimo meglio il nostro prato, faremmo invidia a tutto il mondo!

    • Io dico sempre che noi abbiamo due problemi principali: il primo quello politico, l’amministrazione, il magna magna, cio’ che sappiamo tutti, insomma; ma l’altro e’ quello socioindividuale. Credo che troppe persone in Italia credano che il loro comportamento non abbia conseguenze, potere, impatto per il resto della societa’. “Butto la carta per terra, qualcuno al Comune dovrebbe pagare piu’ impiegati per pulire la citta'”. Invece di pensare “Anche se la citta’ e’ sudicia, io la mia carta non la butto”. Questo si applica alle piccole come alle grandi cose. In America insegnano che tutti possono fare qualsiasi cosa, basta volere ed insistere. Noi siamo stati tirati su con l’idea che non possiamo cambiare niente. Ecco, questo non aiuta. Ed e’ triste.

  • Da loro ho imparato che quando punti il dito indice, ci sono tre dita che puntano a te. E’ ovvio che abbiamo una montagna do parassiti da mantenere(basterebbe contare la totalità dei politici a busta paga: 65 000), ma dimentichiamo che attorno a questi c’è un indotto che si espande fino ai villaggi, quindi quanti di loro sono quelli che poi si lagnano? Aggiungiamo la corruzione e per favore non si citi solo il Berlusca, qui abbiamo delle dinastie che durano da oltre 100 anni. E così via. Diciamo: potremmo…, se…., ecc. ma poi anche quando qualcuno cerca, forse sinceramente, di cambiare qualche cosa, arrivano i sabotatori, i franchi tiratori e così diamo la misura di un carattere pusillanime, codardo ed egotista degno del miglior Guicciardini.

    • Concordo pienamente. Proprio ieri dicevo a una persona cara che si lamentava della sporcizia a Firenze: “Tu intanto non dire ‘non cambierà mai nulla’ e non buttate mai una cartaccia per terra”. Io credo nel buon esempio e nella responsabilità dell’individuo.

  • {"email":"Email address invalid","url":"Website address invalid","required":"Required field missing"}
    >