Tu vuo’ fare l’italiano.

Immagino che conosciamo tutti il celeberrimo successo di Renato Carosone. I giovanissimi, avranno per lo meno sentito la cover da discoteca che andava di moda un paio di anni fa: “Tu vuo’ fa’ l’americano“, in cui si prende affettuosamente in giro un giovane guappo che si atteggia da yankee senza avvedersi delle ovvie contraddizioni con il suo reale stile di vita.

E come non ricordare il mitico Alberto Sordi, determinato a mangiare mostarda e bere latte, almeno fino al momento in cui “maccherone m’hai provocato, e io me te magno!

Ma se vi dicessi che in America esiste il fenomeno contrario? Difficile a credersi, ma vero. Un numero impressionante di individui pseudoitaliofili si atteggiano, masticano due parole, ascoltano brani d’opera, magari guardano pure un classico di Fellini et voilá, fanno gli italiani.

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E’ opportuno fare qui una distinzione fra coloro che fanno gli italiani e coloro che vanno oltre, e addirittura sostengono di essere italiani. Una scena vista ormai un migliaio di volte. Sempre uguale. Più o meno va cosí: qualcuno mi chiede di dove sono; io rispondo:

– I’m Italian.

– Oh, really? Me too!

Quindi io, giustamente, passo a parlare italiano, e a mia volta chiedo:

– Si? Di dove?

Sguardo perplesso del mio interlocutore.

– What?

– Di dove? Che cittá in Italia?

– Sorry, I don’t speak Italian.

Non parlano italiano, non sono nati in Italia, non ci sono mai nemmeno andati in vacanza. E quando chiedo ulteriori spiegazioni, iniziano a dare i numeri. In tutti i sensi. I chiarimenti che seguono sono all’incirca questi: “Il mio bis-bisnonno era italiano, della Sicilia, non mi ricordo il posto esatto, credo di… [nome storpiato/inesistente o in alcuni casi, di posti che non sono assolutamente nell’area menzionata]. Quindi io sono di terza generazione italiano. Mio nonno però ha sposato una francese, che poi è quasi la stessa cosa, e mio padre una filippina, quindi io sono per un 33,3 periodico italiano, ma anche il 18,7% filippino e….”.

Di solito a questo punto il mio mento è per terra.

In realtá, ho imparato a vedere la logica di questo ragionamento. Adesso che sono incinta di 4 mesi, ho capito che mio figlio sará per il 75% italiano, 12,5% polacco e 12,5% ceco. Eh, i nonni di mio marito… Ma avete notato cosa manca in queste complicate spiegazioni etnologiche? “Americano”, manca! Ecco cosa. E per me tutto ciò non ha senso; per quanto mi riguarda, mio figlio sará italo-americano, punto. Molto italo, e un po’ americano. Perché senza sconfinare nel filosofico, e senza addentrarsi in dissertazioni storiche su indios e invasori, mi pare di potere affermare che a definire la nazionalitá di un individuo siano nascita e lingua. Certo, l’ereditá familiare conta pure, ma cosa rimane dopo 3 generazioni in un 12,5%?

Da una parte, vorrei poter dire che mi fa tenerezza quella specie di orgoglio che queste persone conservano rispetto alla loro origine. Dall’altra però mi sono accorta ben presto che ciò che costoro sanno o credono di sapere dell’Italia, poco o nulla ha a che fare con noi. E per forza! Nella maggior parte dei casi, le loro nozioni sono passate, come dicevo, per un paio di generazioni, la prima delle quali costituita da immigranti che venivano da una realtá sociale praticamente ormai scomparsa. Ve lo immaginate l’emigrante 20enne analfabeta del sud Italia nei primi del ‘900? Secondo voi costui parlava, mangiava e pensava all’Italia allo stesso modo dell’emigrante di Bolzano? Quindi, primo fattore, differenza abissale fra i singoli immigranti. Ma andiamo ad analizzare altri fattori di perdita dell’identitá nazionale comuni a tutti.

pU1p3ehaPpsf5slzYi4azOBDo1_500La lingua era indubbiamente la prima cosa che spariva, sia perchè l’italiano, a pochi anni dalla buonanima del Manzoni, ancora praticamente non esisteva o comunque non si parlava, sia perchè l’immigrato che aveva come obiettivo quello di integrarsi alla svelta, imparava presto l’inglese e quasi mai si prodigava per insegnare la sua lingua natía alla prole. Ho incontrato persone che conoscono alcune parole di dialetto siciliano, calabrese, napoletano. Questo sarebbe l’ “italiano” che hanno imparato dai nonni. Mio marito una volta mi ha chiesto:

– Jessica, mi ricordo che mia nonna Maria mi diceva sempre: ‘Rick, you have a head like a cocuzz’!’ Ma che voleva dire?

Ripresami dalle risate convulse, gli ho risposto che sua nonna era fondamentalmente una donna molto intelligente. Pare gli dicesse pure di pettinarsi quando era conciato a ragapepp’ e che ogni domenica andasse ‘o campusant’.

Avete mai fatto caso al lessico di alcuni film americani con personaggi italo-americani? Si trovano parole come “capish” (capisce), “goombah” (cumpa’, compare), “salut” (salute), “bacouz” (bagno), e la lista continua. Come potete vedere, molte sono parole vicine al napoletano o comunque ai dialetti del sud. Di alcune, sinceramente non sono riuscita a ricostruire la provenienza. Tanto sono state storpiate.

Ci sono anche quelli che addirittura fanno un calderone di tutte le lingue latine, convinti che siano più o meno la stessa cosa. Non avete idea di quanti, sentendomi dire “sono italiana” mi abbiano apostrofata dicendo “¡Italiano! ¿Cómo estás? ¿Te gusta America?”. Ecco, a questo punto di solito inizio ad avere il fumo alle orecchie. Ma c’è di peggio. Una mia conoscente che insegna una classe di italiano per principianti si è vista presentare da uno studente un foglio con il testo di una canzone in romeno. Il giovane credeva che lei dovesse assolutamente capire il romeno, perché “professoressa, l’ha detto lei che sono tutte lingue romanze”.

Non entro nel merito degli incredibili, strabilianti fenomeni culinari, in quanto mi sto riservando di scrivere un post specifico sull’argomento una di queste mattine in cui mi sveglierò di cattivo umore. Resta il fatto però che questi sedicenti esperti del Bel Paese, sono straconvinti di sapere tutto sull’autentico cibo italiano, concetto che si riassume all’incirca con: “sbattere a casaccio parmigiano su qualunque cosa, incluso il pesce; l’aglio non é mai troppo; il pesto e l’aceto balsamico vanno su tutto, soprattutto pizza e mozzarella; in caso di dubbio usare la formula magica ‘bon appetit’ che fa molto italiano”. Eh, si.

Ma non é finita qui. Gli uomini fanno facce da trota e mi dicono “oh, le donne italiane…” immaginando Sophie Loren e Monica Bellucci. Le donne idem immaginando il maschio latino. Ed io non me la sento di rovinargli i sogni. Ma dentro di me sono profondamente consapevole del fatto che costoro semplicemente non hanno idea di cosa stiano parlando. In generale l’americano/a non reggerebbe l’italiano/a per oltre un venerdì sera, giuro. (Per favore accettate le generalizzazioni e non crocifiggetemi se non uso disclaimers ad ogni frase).

Insomma, tutto questo mi fa concludere due cose fondamentali: innanzitutto che la cultura italoamericana, parola che volutamente scrivo senza trattino, é diventata ed ormai costituisce a pieno titolo un fenomeno a se’ stante, né italiano, né americano, con vaghe caratteristiche di entrambi i mondi, ma con un’identitá tutta sua che sarebbe sbagliato confondere; la seconda, con la quale vi lascio a riflettere, é che in questo mondo veloce di comunicazioni via internet ed aerei supersonici, evidentemente c’é ancora un forte bisogno di identitá unica e specifica, di contestualizzazione e di appartenenza.

Altrimenti loro non si affannerebbero tanto a fare gli italiani al costo di combinare un postrocchio. Ed io non mi incazzerei tanto nel vederli fare.

  • Mi piacciono molto i tuoi blog! Sono sempre interessanti e divertenti. Come Italo-Americano che vive negli stati uniti, ho letto il tuo blog recente con interesse particulare e mi sono sentito costretto a commentare. E’ vero che ci identifichiamo con le nostre origini genetiche più che col nostro paese di nascita perchè molti di noi, siamo rimossi dal luogo di nascita dei nostri antenati da sole 2 o 3 generazioni. Gli stati uniti sono un vero crogiolo di etnie diverse che alla fine, nell’arco dei prossimi 2000 anni, si amalgameranno negli “americani”, senza riferimento alla nostra eredita’ da un altro paese. Storicamente e geneticamente questo e’ quello che è successo in italia in un simile lasso di tempo. Per esempio, la gente della Sicilia è la combinazione genetica di tutti i suoi invasori: i Vandali, Normanni, Franchi, Saraceni, nordafricani, Lombardi, ecc. Il resto d’ Italia ha una combinazione altrettanto ricca di colore dei paesi che hanno fatto degli italiani, “gli italiani”. Allora, perchè proviamo orgoglio nell’annunciare a chiunque incontriamo che siamo italiani anche se conosciamo poco o niente del paese, non ci siamo mai andati, non parliamo la lingua? E’ perche le generazioni precedenti ci hanno instillato quest’orgoglio e identita’ colle nostre radici ancestrali

    Cosi se uno e’100%, 75%, o 50% italiano ma è fiero di quella parte della sua eredita’, perche e’ offensivo affermarlo? Penserei che fosse scontato che le persone a cui stavi parlando erano americani di nazionalita’ e che volevano semplicemente che tu sapessi che condividevate gli antenati comuni.

    E qui trovi anche altre persone delle diverse formazioni etniche, come i polacchi, i tedeschi, gli irlandesi, ecc. che sono appasssionati e fieri nella stessa misura delle loro radici. Cosi fra centinaia di anni, quando saremo talmente lontani dai nostri antenati che non ci sara’ una memoria chiara del dove la discendenza della nostra famiglia estera e’ iniziata, allora la gente dira’ con orgoglio che “sono americano!”

    Forse sono unico dato che tutta la mia composizione genetica e’ italiana, ma sono di madrelingua inglese, e sono nato negli stati uniti. Eppure sono piu o meno italiano della persona che e’ nata in italia con un padre italiano e, per esempio, una madre francese e che parla la lingua italiana? E quando quella persona va nel mondo, dichiara di essere italiana o francese? Il punto che mi piacerebbe far notare e’ che hai disegnato delle linee sottili di distinzione su come una persona dovrebbe catalogarsi riguardo alla sua eredita’ e penso che se guardassi più globalmente e apprezzassi la nostra unicita’, potresti essere meno critica verso il prossimo americano che afferma con orgoglio, “sono italiano, anch’io!”

  • Ciao J. Stecchino. Grazie molte per il tuo commento, e complimenti per il tuo italiano!
    Vorrei precisare di non aver mai scritto e nemmeno pensato che sia offensivo affermare di essere italiani solo in una piccola percentuale. Anzi, ho detto di comprendere e provare tenerezza per questo sentimento. Quello che io provo, da italiana, e’ semplicemente stupore, perche’ da noi queste definizioni non esistono. Per rispondere alla tua domanda infatti, posso assicurarti di avere incontrato molte persone nate in Italia, la cui mamma era pero’ magari francese o polacca. Queste persone da noi si qualificano come “italiani” e spesso non sentono affatto il bisogno di specificare che hanno anche geni di un altro paese. Quando la conversazione, accidentalmente, va a finire li’, di solito dicono “mia madre e’ francese/polacca” (la madre, non loro!) ma questo non fa di loro dei mezzi francesi. Di nuovo, non sto dicendo che questo sistema di classificazione sia piu’ giusto del vostro, sto solo dicendo che e’ diverso, e a me salta agli occhi perche’ non ci sono abituata. Per noi sono la nascita e la lingua che definiscono l’appartenenza geografica ad un paese. Per questo sentire “sono italiano, ma non sono nato in Italia e non parlo italiano” a me sembra (ma sembra) una contraddizione.
    E’ anche giusto quello che dici sugli invasori in Sicilia. Infatti io sono siciliana e il mio aspetto fisico indica una chiara discendenza normanna. Non ho orgoglio normanno pero’, forse perche’, come dici tu, dopo molto tempo non e’ rimasto nulla della loro memoria attraverso le generazioni, o forse perche’, come penso io, la siciliana che molti secoli fa fece un bimbo con un soldato del nord (ammettiamo sia stata una cosa consensuale…), da subito mise in chiaro che il pupo sarebbe statao siciliano.
    E questo mi fa riflettere su un fatto interessante: l’identita’ siciliana esisteva ed esiste ed era/e’ in qualche modo influenzata dalla presenza dei normanni e di tutti gli altri invasori.
    Forse un buon suggerimento non richiesto per gli americani potrebbe essere questo: di pensare alla propria cultura come ben definita. Non solo un pot-pourri di molte culture diverse, ma il risultato di tutte queste messe insieme, orami una cosa nuova, chiamata “essere americano”. Magari e’ qui la chiave. Rispondere al bisogno di identita’ non insistendo su una provenienza lontana, ma su un’appartenenza presente.

  • Ciao Jessica, e grazie per il tuo blog. Questo post è di un soggetto che sempre io sono stato interessato. Scusa il mio italiano ma ho bisogno provare.

    Sono un italoamericano della questa varieta’, la generazione terza di un lato della famiglia e quarta dell’altro lato. Da quando sono stato molto giovane la mia famiglia mi hanno insegnato un patriottismo della nostra eredita’, senza tanta conoscenza dell’italia moderna. (Dopo, ho diventato interessato nella questa conoscenza.)

    La nomenclatura “I am Italian” è specificamente perchè della storia americana. Nelle queste citta’ con grande popolazioni immigranti, con molta segregazione, ha richieduto un identita’ per i miei avi e altri. Sono stato incollato in mezzo di due culture. I generazioni prima ha detto “we are Italian” perche’, loro sono stato proprio italiano. E hanno insegnato i loro figli dire la stessa cosa.

    Ma dopo generazioni successivo, contatto con e conoscenza dell’italia hanno andate, la nomenclatura rimane. E poi quando le famiglie dell’immigrazione hanno sposato insieme con altre gruppi, hanno cominciato usare i onnipresenti “percenti” che sempre scoccia voi europei 🙂

    Il scorso anno ho abitato nell’italia e rapidamente ho imparato dire ‘ho origine italiane’ invece ‘anche io sono italiano’ ma altre sfortunatamente non imparano questo facilemente…

    • Ciao Nick,
      Certo, sono a conoscenza di quello che dici. E’ normale che, essendo l’America un paese di immigranti, ciascuno abbia mantenuto una propria identita’ culturale, e anche un certo orgoglio delle proprie origini.
      Capisco perfettamente. Questo e’ un post ironico.
      Vivi in Italia, adesso?
      Jessica

      • Mi scusa, non ho voluto condiscendere. No, adesso sono tornato, mi manca… e qua non posso mangiare agli stessi ristoranti più 😀

        Forse andrò di nuovo a presto, ora ho bisogno fare alcuni decisioni.

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