Cibo made in USA. Introduzione. Come sopravvive un italiano.

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Ebbene, credo di non poter ulteriormente deferire il mio post sul cibo made in USA. Sono pronta. E voi?

Alcuni giorni fa mia sorella mi ha detto che verrá a farmi visita e con lei la mia “nipotina” di 18 anni, naturalmente desiderosa di lanciarsi all’esplorazione della Florida per i fatti suoi, come una novella Ponce de Leon. Così ho pensato di fare la zia saggia e mandarle una email per spiegarle alcune cose di questa terra a lei sconosciuta. E indovinate un po’? Il 90% sono raccomandazioni relative al cibo.

Lo ammetto: io sono un pelino fissata, una purista che anche in Italia storceva il naso davanti ad innovazioni stravaganti come frutti di mare abbinati a croste di parmigiano. Per me ci sono delle regole in cucina. Mio suocero mi chiama “food nazi”!

nazi

Il post sará in due o forse tre parti, perchè mentre lo scrivevo ne stava venendo fuori un libro…  Mi riprometto occasionalmente di riaprire l’argomento in futuro, mano a mano che scopriró nuovi, strabilianti aspetti della cucina americana.

E’ davvero così male?

Ogni volta in cui si visita un paese ci si ritrova a fare i conti con gli stereotipi ed i “sentito dire”. I francesi davvero si innervosiscono se non parli la loro lingua? Gli italiani sono proprio tutti mammoni? E gli americani mangiano poi tanto male? A ognuno le proprie risposte. Sull’ultima domanda, io vi dico la mia: SI.

E come mai? Beh, io credo per due motivi principali, connessi fra loro: il primo è la carenza di atavica cultura culinaria; il secondo è la qualitá della materia prima.

Carenza di cultura culinaria. Sappiamo tutti che gli Stati Uniti sono un paese giovane. Non esiste una tradizione culinaria come la nostra, in cui l’invenzione della pizza è accompagnata da regali aneddoti storici come la visita della Regina Margherita. Manca un po’ di orgoglio per il proprio cibo; “it’s only food” mi hanno detto molte volte. Non c’è macellaio di fiducia nè marchio d.o.p. sui formaggi. La grande distribuzione impera sovrana. Inoltre, pensate a questo: i colonizzatori della parte nord del continente furono gli inglesi – i celebri Pilgrim Fathers o Puritani – , gli olandesi, i tedeschi. Vi risulta che questi nostri “vicini di casa” siano rinomati per le loro bontá ai fornelli? A me no. Dopo tutto questo tempo, il “piatto nazionale” americano puó essere identificato con l’hamburger, non a caso parola derivata dalla cittá tedesca di Hamburg, e nei fast food abbondano anche Frankfurters e Wieners (a loro volta derivati di Francoforte e Vienna in lingua originale) per indicare varianti dei noti hot dogs.

hot dog

Se chiedete ad un americano quale sia il suo piatto preferito, vi risponderá con qualcosa che appartiene ad una cucina internazionale; sia sushi o cinese o forse pasta. Fate la stessa domanda ad un italiano e si spazia fra lasagne, cotolette, paccheri o parmigiana; ma quale italiano ha bisogno di andare tanto lontano per un piatto che mangerebbe virtualmente ogni giorno? Nessuno. Da noi il ristorante etnico è l’eccezione, la stravaganza. Qui è la regola, perchè, beh, il ristorante americano propriamente definito non esiste.

Punto secondo, qualitá della materia prima. Visto quanto ho detto sopra, sorge spontanea la domanda: perchè non ti metti ai fornelli e cucini tu? Bravi. Esattamente quello che ho pensato io. Ma c’è un problema. Il prodotto base non è lo stesso. Niente ha lo stesso sapore. Il latte, la farina, l’olio, il burro, le verdure, persino l’acqua, non sono gli stessi e non danno gli stessi risultati. Non mi credete? Tornate un attimo con me al supermercato.

I prodotti di base, come e perchè sono diversi.

Innanzitutto perchè nulla, ma dico nulla è lasciato come madre natura l’ha fatto.

Comincio dalla piú semplice, la piú elmentare delle cose: l’acqua. Eliminata a priori quella di rubinetto, perchè contiene così tanto cloro che tanto vale mettere una cannuccia direttamente in piscina, vediamo cosa c’è sugli scaffali. Si beve comunemente distilled water, si, quella che noi usiamo per il ferro da stiro, o purified water, acqua purificata, la cui provenienza non mi è del tutto chiara. A tali acque molto spesso vengono aggiunte “cose”. Trovi l’etichetta che dice “minerals added to enhance flavour”, cioè “minerali aggiunti per migliorare il sapore”. Ed io che ho studiato che l’acqua è insapore ed inodore. Bah. L’acqua San Pellegrino e la Perrier sono importate e considerate delicatezze, si offrono agli ospiti come una bibita, soprattutto a quelli in terapia alla Anonima Alcolisti. La mia soluzione: io compro la spring water, ossia l’acqua di fonte – ma la fonte non è mai precisata.

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Ed al proposito di bibite, senza dilungarmi nel descrivere aromi esotici, abbinamenti curiosi, succhi e spremute di cose che avrei pensato “inspremibili”, dico solo che quasi tutte hanno una cosa in comune: il 25% di zucchero in piú rispetto alla formula italiana. Eh si, anche la Coca Cola non è uguale.

Ed in tema di liquidi, altra cosa basilare: il latte. Noterete innanzitutto l’assenza di confezioni piccole. Questo vale un po’ per ogni prodotto, perchè, ormai lo sappiamo, “tutto è piú grande in America”. Ma un alimento così facilmente deperibile, magari si preferirebbe comprarlo a piccole dosi. Ebbene, fatto è che il latte qui non deperisce. Mai. Ho fatto un esperimento di recente: il latte “fresco”, quello che si compra nel banco frigo, per intenderci, era ancora buono (??) tre settimane dopo. 21 giorni. Ed anche in questo caso le “aggiunte” sono molteplici e sorprendenti. Vitamine, oligoelementi, io non so nemmeno cosa ci sia di preciso, perchè qui la legge è estremamente flessibile con le etichette. Se non bastasse, la tendenza generale è quella di scremare, scremare, scremare la salubre bevanda fino a che non diviene un liquido trasparente e senza vita. A loro piace credere di aver creato un super-cibo: togliamo il grasso, aggiungiamo le vitamine, aggiungiamo i conservanti, ed ecco il latte del millennio. A me la faccenda rompe un tantino le palle. Bevo mezzo bicchiere di latte al giorno, forse solo una goccia nel caffè: posso avere the real thing? No. Per il caffè si usa la panna. O una serie infinite di cremine zuccherose. La mia soluzione: io compro il latte biologico, di una certa marca. E’ sempre un po’ troppo scremato per i miei gusti, e ad imperitura scadenza, in confezioni da un gallone. Ma bisogna pur fare compromessi.

Detto ció, immaginerete che i latticini siano altrettanto inquietanti. La ricotta è un agglomerato granuloso e giallognolo, privo di ogni sapore. “La mia soluzione” è che non la mangio piú. Lo yogurt, è pure scremato (io dico stremato) e fintissimo, dolcissimo – sia zucchero o aspartame – e coloratissimo. La mia soluzione: compro quello greco di una sola marca, ma oltre il 2% di grasso non si trova. La mozzarella, anche la piú pregiata, è a malapena tollerabile, e se cotta (per esempio su una pizza) rivela sempre, invariabilmente, una consistenza plastica. Ho conosciuto un lattaio italiano che mi ha detto che è colpa del PH del latte. “Meglio di così non viene”, mi ha spiegato laconico. A volte si trova della mozzarella “importata” (la ricotta no). La prima volta in cui l’ho vista ho pensato di aver fatto tombola. Poi ho scoperto la dura veritá sui prodotti “italiani” e su quelli “importati”, di cui parleró in un prossimo post.

L’aggiunta di “cose” si estende a molti altri prodotti. Uova, farina, zucchero, burro, pasta tutti sono addizionati di vitamine, acido folico, varie ed eventuali. By default. Ma poi come faranno a mettere “roba” nelle uova? Mistero.

E quindi, cosa si mangia qui ai vari pasti, e come sopravvive un italiano? Vediamolo nella seconda parte.

  • The ills of the American food supply are really too long to list. Greed and a complete lack of care for the planet and people have created an industrialized system of food that is a complete embarrassment. The corn and soy are subsidized so that they appear in almost all foods and are genetically modified. The only ones who benefit from this are the Monsanto corporation. The meat is mostly abused with hormones and antibiotics. The other produce is sprayed with tons of chemicals to kill bugs and to make it appear ripe when it is actually green. It arrives at the store with a wonderful appearance, but no flavor.

    South Florida is probably the best place to get fresh food because it is easily imported from the Caribbean where they actually grow it properly. The one good thing to report is that the water situation is not as bad as you think. If you let tap water sit for 24 hours, the chlorine gas will escape and it’s actually a good quality water. If you don’t have that much patience you can buy an active carbon filter and achieve the same results in a few seconds.

    • Oh, don’t even make me start with this topic! I think I have never been so self conscious of whatever food I put in my mind. I’ve never been a freak, but since after I moved here, I make sure I read all the tags, find out where the food was grown, everything. I even have an app, that I recommend, called “fooducate” through which you can scan the bar code of an item and find out if it has GMO and such.
      The Monsanto affair is very sad. And is sad that so many people lack the basic knowledge to protect themselves. They think that if the government and the FDA approves it, then it can’t be so bad for you. They believe the system protect them, when instead it only fosters business. They even believe the misleading commercials stating that something is “healthy” when it is so obviosly not!
      Anyway. Thanks for the hint on the filter. Maybe I’ll get one. I buy bottled spring water for now, but all that plastic is against my best believes, too. 😛

  • Jessica grazie per le dritte…. mi hai dato ispirazioni per certe cose e tolto la gioia di andare negli States per altre :’)

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